Napoli e il lavoro: quando la vita è altrove
Caterina e Sergio sono una coppia di professionisti napoletani che vive e lavora a Londra da tredici anni. Caterina si occupa di contabilità. Oggi, è una senior corporate accountant della sede londinese di una nota multinazionale italiana, dopo aver lavorato per alcune delle più importanti società internazionali del settore della revisione contabile.
Sergio, un consulente nel campo dell’UX Design, che semplificando è quella branca dell’informatica che ha come obiettivo quello di rendere semplice l’uso di un sito o di un’app per l’utente. La sua è stata una scelta di autonomia ben remunerata, maturata dopo aver ricoperto ruoli dirigenziali per alcune importanti compagnie britanniche negli scorsi anni.
La loro storia è una di quelle che compongono il mosaico complesso della nuova emigrazione italiana. Quel segmento di forza-lavoro qualificata che trova riconoscimento e un salario adeguato in un altro paese. Fenomeno enfatizzato dai media italiani e indagato tra gli altri con particolare efficacia dal sociologo Enrico Pugliese in “Quelli che se ne vanno”, uscito nel 2018. All’emigrazione delle braccia è andata sommandosi nel tempo quella dei cervelli. Capitale umano che abbiamo formato nelle nostre scuole e nelle nostre università di cui però beneficiano i Paesi di destinazione, tra i quali hanno una particolare rilevanza il Regno Unito prima della Brexit e la Germania.
Caterina e Sergio raccontano la loro storia in videochiamata, dalla casa che hanno acquistato un paio di anni fa a West Hampstead, dove hanno messo su famiglia e dove stanno crescendo i loro due figli, una bambina di dieci anni e un maschietto di sei. West Hampstead è un bel quartiere residenziale di Londra Nord. Case vittoriane a due o a tre piani e qualche edificio moderno di nuova costruzione, tanto verde. Giusto a un tiro di schioppo dalle strisce pedonali di Abbey Road rese celebri dai Beatles, a ricordare la vocazione culturalmente vivace e bohemien dell’area in passato.
Cervelli in fuga? “Io non mi sento un cervello in fuga”, esordisce con un’espressione divertita Caterina. “Anzi, è una definizione che mi fa sorridere. Se ci consideravano cervelli, perché non ci hanno messo in condizione di restare nel nostro paese? Io ero una privilegiata in Italia, ne sono consapevole. Vivevo a Roma insieme ai miei fratelli e nostro padre ci pagava l’affitto di casa. Poco prima di laurearmi alla Luiss in Economia aziendale - Management internazionale, ebbi un colloquio con una delle cosiddette Big Four, le quattro società di revisione contabile più importanti del mondo, e fui assunta. Mi laureavo a luglio e potevo scegliere se iniziare a lavorare ad agosto, oppure a novembre. Scelsi novembre e nell’estate del 2006 venni per tre mesi a Londra per imparare la lingua”.
“Mi innamorai della città - dice Sergio, irrompendo nella conversazione - e capii che poteva offrirmi opportunità professionali che l’Italia non mi avrebbe mai garantito. Considera che non sono laureato, ma l’informatica allora era una materia dove l’accademia era spesso in ritardo rispetto ai tanti che, come me, avevano imparato a smanettare autonomamente con computer, design e reti. Così Caterina al termine dei tre mesi tornò in Italia e io rimasi qui. Ovviamente, all’inizio mi accontentai dei classici lavori nella ristorazione che fai quando arrivi a Londra e non hai ancora una grande dimestichezza con la lingua, ma quella ero certo che sarebbe arrivata in un tempo ragionevolmente breve”.
La loro storia diventa perciò per circa un anno una relazione a distanza. Lui a Londra e lei a Roma, ma non funzionava. Per andare avanti era necessario che uno dei due facesse un passo indietro. Fu Sergio a fare la scelta di rientrare in Italia, dove intanto Caterina continuava a lavorare, maturando però una crescente insoddisfazione. Lo stipendio, per esempio, spiega. La stessa mansione che a Roma corrispondeva a un compenso di 28 mila euro lordi l’anno, a Londra sarebbe valsa almeno 40 mila sterline lorde. Senza dimenticare che nel Regno Unito le prospettive di avanzamento della carriera sono molto più concrete, quasi automatiche, si pagano meno tasse che da noi e che la vita costi molto più cara è una mezza leggenda metropolitana, perché ogni volta che torniamo in Italia i prezzi sono più alti ma gli stipendi sempre gli stessi.
“Facevo molti straordinari a Roma, che però mi venivano pagati solo parzialmente”, continua Caterina. “Che so, dieci ore extra in una settimana? Me ne venivano conteggiate meno. La questione che poi emerse in azienda venne regolata in seguito, ma solo dopo che ero andata via. Alla fine, dopo tre anni che lavoravo lì, avevo maturato il diritto a ricevere un bonus per la mia performance nell’ultimo anno, ma quel bonus non arrivò dell’importo atteso”.
Né pacche sulla spalla, né soddisfazioni personali, né gratificazioni economiche. Insomma, Caterina inizia ad accarezzare l’idea mai abbandonata da Sergio di trasferirsi a Londra. È proprio lui a spiegarne i motivi, non solo perché Londra continuava a sembrargli un buon posto dove vivere, ma pure perché nei due anni trascorsi in Italia le aveva provate tutte, anche spostandosi con scarso costrutto nel Nord-Est. La goccia che fa traboccare il vaso è una fattura di appena 300 euro per la realizzazione di un sito per un’azienda napoletana che, nonostante la cifra esigua e i numerosi tentativi di incassarla, non gli viene pagata.
Decidono così di fare il grande passo e tornano insieme a Londra. A dodici anni di distanza e con una posizione consolidata, Caterina e Sergio sono nella posizione di valutare pro e contro di questa scelta. “Mi manca la mia famiglia”, dice Caterina. “Per quanto le loro visite sono molto frequenti e noi cerchiamo di tornare ogni volta che possiamo, la distanza ovviamente resta, però abbiamo entrambi un lavoro e una condizione che non avremmo potuto avere in Italia. Abbiamo comprato una grande casa in un quartiere centrale e prestigioso, come non avremmo potuto fare in Italia”, le fa eco Sergio. “I nostri figli parlano due lingue, sebbene hanno delle difficoltà con l’italiano che comunque capiscono perfettamente, replica Caterina, e questo gli darà opportunità che non avrebbero avuto nel nostro paese. Oggi, dopo la Brexit è diventato quasi impossibile trasferirsi qua, e non è più l’Inghilterra che abbiamo conosciuto nel 2006. C’è stata la crisi del 2008, anno dopo anno si taglia qualcosa alla sanità pubblica, ai trasporti, all’edilizia popolare, ma facendo finta che la Brexit non ci sia, a una coppia giovane come lo eravamo noi quando ci siamo trasferiti consiglieremmo di partire senza ripensamenti”.
Ovviamente, l’Italia resta un pensiero fisso. “Io ogni tanto guardo gli annunci di lavoro- spiega Sergio - la UX in Italia di fatto non esiste”. C’è un mercato caratterizzato da scarsi investimenti, bassa remunerazione e un sottobosco di applicazioni che non diventeranno mai Facebook, Twitter, Instagram, eccetera, eccetera. Il milanese Simon Beckerman, che a dispetto del nome è italianissimo, per sviluppare la piattaforma di shopping online Depop è dovuto venire qui a Londra. Per la cronaca, Depop è stata venduta due anni fa per 1,6 miliardi di dollari all’americana Etsy. Poi non c’è proprio paragone dal punto di vista dei salari, continua. Un lavoro come il mio in Italia, e parliamo di Milano o al massimo di Roma se il committente è pubblico, ha un salario che può andare dai 35 mila ai 50 mila euro. In due città che con ogni probabilità non sono meno care di Londra. Qui 50 mila sterline le offrivo, da dirigente di medio livello quando mi occupavo del reclutamento, a un ragazzo appena uscito dall’università. A un candidato con tre o quattro anni di esperienza non potevo offrire meno di 70 mila o 75 mila sterline. Per capirci, continua e fa un ampio movimento delle mani per sottolineare il concetto, qui un dirigente di medio alto livello nel mio settore parte da 100 mila sterline l’anno, che arrivano agevolmente anche a 150 mila con bonus legati alla prestazione che vanno dal 30 al 50 per cento dello stipendio annuale in settori strategici come la finanza. Parliamo per farti un esempio di lavori dove un bottone di un’app di trading online in una posizione piuttosto che in un’altra in una schermata può far guadagnare o perdere milioni di sterline alla tua azienda. Ma basta occupare già un ruolo intermedio per vedersi riconoscere benefit medici, sanità privata, auto aziendale. Insomma, un mercato del lavoro molto dinamico in cui le competenze specialistiche sono ben remunerate. Naturalmente parliamo di lavoro qualificato, perché vivere in Inghilterra e soprattutto a Londra col minimum wage, il salario minimo che adesso è di 10,42 sterline l’ora, è un’impresa complicata.
La precisazione è importante, perché Caterina e Sergio sono consapevoli di essere dei privilegiati che appartengono a una categoria di lavoratori qualificati. È però indicativo che per raggiungere questo status hanno dovuto trasferirsi in un altro paese, perché in Italia lei guadagnava 1.400 euro netti al mese e lui non riusciva a farsi pagare una fattura di 300 euro. “Pensa - conclude Sergio con un sorriso amaro - che appena sono arrivato qui 300 sterline me le davano al giorno per gestire il sito di una piccola compagnia che si occupava di turismo. Perciò l’Italia resta comunque il luogo degli affetti, dove vivono le nostre famiglie, dove torniamo sempre volentieri, ma dove evidentemente non c’è posto per quelli come noi.