Ricomincia l’era Mazzarri, un presidente che ama il poker rilancia con una scommessa che viene dal passato
Il ritorno di Walter Mazzarri a Napoli certifica innanzitutto il fallimento della scelta di Rudi Garcia per sostituire Luciano Spalletti.
Caustico e brutalmente efficace, Antonio Corbo ha scritto su Repubblica che il Napoli si è comportato «come una clinica che per sostituire un ortopedico ingaggia un nutrizionista». Difficile infatti riscontrare la benché minima vicinanza fra il tecnico francese e il ct della nazionale sul piano tattico, comunicativo e caratteriale.
Pare che sui carboni ardenti sia finito lo scouting, colpevole di non aver fornito informazioni attendibili su Garcia. Ma c’entra qualcosa lo scouting con un allenatore in attività da anni che aveva già allenato la Roma dei due secondi posti dietro la Juve, facendosi poi esonerare nel corso della terza stagione? Lo scouting scova nuovi talenti, è questa la sua funzione. O forse nel Napoli dall’organigramma esile che somiglia molto da vicino a uno stato di famiglia le competenze finiscono per sovrapporsi impropriamente? Sarebbe un problema.
Prevedibilmente, sono comunque in tanti a scrivere in questi giorni. Prendono la parola tutti, giornalisti, ex calciatori, ex allenatori, opinionisti dei social e naturalmente i tifosi. Tutti parlano della solitudine di Aurelio De Laurentiis al comando. Attribuita però alternativamente o alla necessità che prova a farsi virtù senza riuscirci, oppure a un ego ipertrofico che lo avrebbe convinto erroneamente di essere l’unico vero artefice dello scudetto.
Non stupisce, a Napoli succede così da qualche anno. Su qualsiasi questione riguardi il club le opinioni di una certa percentuale di tifosi sono rigidamente contrapposte e conflittuali. Da una parte i sostenitori di ADL a ogni costo e dall’altra i suoi nemici irriducibili. La pax armata fra le due fazioni determinata da un titolo atteso 33 anni, di cui avevo parlato qui su NapoliClick nei mesi scorsi, è già un ricordo del passato. La fragile tregua non ha retto sotto i colpi del disastro Garcia ed è quindi di nuovo scontro feroce sui social tra le parti.
Da un lato c’è un sentimento di abnegazione che finisce per confondersi con il fanatismo, in cui si mischia la tradizionale passione popolare per l’uomo forte, l’uomo della provvidenza senza il quale tutto è perduto e che perciò ha sempre ragione. I seguaci della setta di Aurelio I Re di Napoli reagiscono in forme inevitabilmente scomposte a qualsiasi pur minimo rilievo. Le colpe? Di Spalletti che ha fatto finta di volere l’anno sabbatico, come se allenare la nazionale a due passi da casa fosse la stessa cosa che allenare una squadra di club. Di Giuntoli che è juventino, come se non lo fosse stato anche e senza nessuna conseguenza sul suo operato negli otto anni trascorsi a Napoli proficuamente.
Insomma, Aurelio è per i suoi aficionados una vittima incolpevole della cattiveria di uomini malvagi che hanno tramato nell’ombra per offuscarne la luce. Mai neanche in discussione l’eventualità che un uomo pur capace di scelte azzeccate e intuizioni geniali - perché Spalletti e Giuntoli li ha comunque portati lui a Napoli, sfidando anche un diffuso scetticismo - non sia invece altrettanto abile nel creare relazioni serene con i suoi collaboratori. Soprattutto con quelli che fanno bene e con i quali forse ADL si mette impropriamente in competizione, quando invece il successo dei collaboratori è già automaticamente un’attestazione della sua capacità di scegliere bene.
Accadde lo stesso con Mazzarri, apparentemente per divergenze di mercato. Poi con Benitez, al quale erano stati promessi strutture e acquisti, che il primo anno rivoltò virtuosamente il Napoli come un guanto. Ma si ritrovò poi, dopo aver perso la doppia sfida del preliminare di Champions con l’Athletic Bilbao, con David Lopez preso il 31 agosto a simboleggiare la seconda stagione da separato in casa. Accadde anche con Sarri, al quale col senno di poi lo stesso ADL avrebbe offerto volentieri l’ingaggio garantito invece ad Ancelotti. Un grande tecnico che però c’entrava come la cioccolata sui maccheroni, in un club di medio cabotaggio a conduzione familiare come il Napoli. Va da sé comunque, per amore di verità, che anche Mazzarri, Benitez, Sarri, erano conigli usciti dal cilindro magico di Aurelio.
Dall’altro lato della barricata, ci sono invece quelli che Aurelio ha sempre torto. Quelli dello scudetto vinto per caso, o alternativamente vinto “nonostante De Laurentiis”. Quelli che Aurelio “mette le mani nel water e pesca l’aragosta”, come recita una storiella non priva di una certa efficacia comunicativa, pur essendo palesemente pregiudizievole. Se sbagli a scegliere Garcia, non ti si può non riconoscere il merito di aver scelto bene Spalletti. Non può essere incapacità la prima e fortuna la seconda. Suvvia, siamo seri.
Proprio lo scudetto è la cartina al tornasole dell’ortodossia ribelle che usa i fallimenti sportivi come pietre per lapidare metaforicamente il presidente. “Il Napoli voleva solo abbassare il monte-ingaggi, lo scudetto è venuto per caso e lui non avrebbe neanche voluto vincerlo”. Vi sarete imbattuti sicuramente in frasi di questo genere negli ultimi mesi. Una convinzione che non contempla la possibilità che il Napoli abbia invece avuto la capacità di sostituire i grandi nomi in partenza, i Koulibaly, i Mertens, gli Insigne, considerando quel ciclo finito e andando consapevolmente su calciatori poco noti al grande pubblico ma considerati in grado di fare bene a Napoli.
Kim non ha fatto rimpiangere Kalidou, pur amatissimo e destinato a restare nella storia del club. Raspadori data anche la giovane età può essere considerato un Dries in divenire (e su Mertens c’era l’ostracismo di Spalletti, inutile negarlo). Simeone è stato più utile di Petagna e Kvaratskhelia si è imposto come uno dei talenti più promettenti a livello mondiale. Insomma, possibile che sia stata tutta e solo fortuna il loro arrivo a Napoli? No, francamente io che ero uno dei critici più feroci nell’estate 2022 non lo credo. E non credo nemmeno che a De Laurentiis sia dispiaciuto il boom del fatturato, con 360 milioni circa incassati, di cui 160 milioni di utile, che rappresenta il record storico di tutti i tempi della Serie A.
Walter Mazzarri, quindi. Se in estate ci avessero annunciato il suo ritorno, l’avremmo presa come la battuta dell’anno. In alternativa, ci saremmo interrogati sulla sobrietà del nostro interlocutore invitandolo a togliere il vino dal tavolo. E la risposta non sarebbe stata diversa nemmeno quando il Corriere dello Sport pubblica a fine ottobre una lunga intervista al tecnico toscano che è un elogio sperticato del Napoli di Spalletti, ma soprattutto un self endorsement. «A Napoli vorrebbero tornare tutti» dice sornione Mazzarri in videochiamata col direttore della testata, Ivan Zazzaroni. Traccia sottovalutata di un piano b che stava prendendo forma mentre la gestione Garcia procedeva a corrente alternata palesando tutta la sua inadeguatezza, oppure bizzarria degli dei del pallone?
Non è dato saperlo, ma quando l’arrivo di Tudor sembra cosa fatta c’è invece il sorpasso di Walter, che mette la freccia e si riprende la panchina a dieci anni dal suo addio. Una cosa da Juve – Napoli 2-3 del 31 ottobre 2009 ribaltando il 2-0 iniziale. Una vittoria che il Napoli coglie nella notte di Halloween con Mazzarri in panchina, facendo vedere le streghe ai bianconeri, e che a Torino mancava dal 3-5 del 20 novembre 1988. Con Careca a farne tre e Maradona in campo a poi in panchina a urlare «tienila, tienila» a un compagno perché dalla partita virtualmente chiusa il Napoli deve sudare fino a cinque minuti dalla fine per portarla a casa con un risultato che resta comunque nella storia. Un’altra epoca, prima della lunga agonia, del fallimento e dell’inizio della presidenza De Laurentiis.
La New Era, lo slogan col quale il Napoli ha marcato la stagione post scudetto, riparte quindi dal passato remoto. Anche stavolta con Mazzarri che subentra in corsa come successe quando sostituì Donadoni esonerato dopo sette giornate. Dalle nebbie del primo Napoli competitivo post fallimento. Con l’uomo che ticchettava l’orologio e si levava la giacca restando in maniche di camicia. L’allenatore dalle scuse così pretestuose e improbabili da diventare leggenda. Il tecnico capace di forgiare una squadra che non si arrendeva mai e in grado di riportare un trofeo a Napoli dopo ere geologiche, vincendo la Coppa Italia a Roma contro la Juve. Quello dei tre tenori Hamsik, Lavezzi e poi Cavani, ma pure di Grava, Aronica, Zuniga, Gargano e tutti gli altri.
Un Napoli capace di mettere paura perfino al Chelsea che poi avrebbe vinto quella edizione della Champions. 3-1 a Fuorigrotta con Maggio che sfiora il quarto allo scadere e il 4-1 ai supplementari con il quale i blues la ribaltano nel ritorno allo Stamford Bridge. Era tignoso il Napoli di Mazzarri. Sebbene prevalga la narrazione di un allenatore difensivista, dovuta soprattutto all’utilizzo del 3-5-2, in realtà era una squadra con una grande confidenza col goal. Miglior attacco con 73 reti realizzate nel 2012/2013, per esempio, nel secondo posto comodo dietro la Juve e la qualificazione in Champions.
Ma tutto questo avveniva un sacco di tempo fa. Dopo l’addio al Napoli, la carriera di Mazzarri non ha fatto registrare risultati degni di nota, a cui fanno parzialmente eccezione il quinto posto con un’Inter mediocre e la prima stagione al Torino col piazzamento in Europa League, seguito poi dall’esonero. E un altro esonero a Cagliari a maggio 2022, con sette sconfitte su otto partite. Era quasi un ex allenatore, da un anno e mezzo Mazzarri. Si era messo a vendere ville di lusso in Toscana, prima della chiamata del Napoli. Una storia che potrebbe avere perciò un finale scontato, ma che somiglia anche molto da vicino a quelle parabole di rinascita e redenzione a cui il calcio ha affidato parte della propria straordinaria e imprevedibile bellezza.
I tifosi sperano, nonostante l’evidente attrito fra l’identità tattica acquisita da Sarri in avanti e il calcio verticale di Mazzarri. Un abbondante 70 o 80 per cento immagina un impatto positivo sulle prestazioni del Napoli. C’è ovviamente un’ampia componente di quella speranza di chi non si rassegna a scucirsi così in fretta dalla maglia un tricolore atteso 33 anni. Dall’altra parte, la scommessa su un allenatore in declino atteso per ironia della sorte da un ciclo terribile. Bergamo, poi il Real al Bernabeu, poi l’Inter al Maradona, la Juve a Torino e il Braga a Fuorigrotta la sera del 12 dicembre per il passaggio del turno in Champions. Roba da far tremare le vene e i polsi. Come fu in quella antica stagione dell’arrivo a Napoli che iniziò con un filotto di 15 risultati utili consecutivi. In bocca al lupo quindi Mister. In bocca al lupo Napoli. Ne avremo un maledetto bisogno.