Può un carcere diventare casa? Lorenzo Marone ci porta dentro un istituto a custodia attenuata per detenute madri
Miriam e Diego, madre e figlio, si trovano in un ICAM, Istituto a custodia attenuata per detenute madri ed è da qui che Marone fa partire una storia che porterà il lettore nelle pieghe degli ultimi.
A riflettere sulla libertà ma anche sulle opportunità.
Le madri non dormono mai, l'ultimo romanzo di Lorenzo Marone pubblicato da Einaudi, è un mosaico di emozioni: amore, cura, cattiveria, tristezza, rimpianto sono alcuni dei colori dell'anima che di volta in volta appaino nei volti delle persone (sempre meno personaggi) che popolano questa storia.
C'è Miriam che in un luogo deprivato come quello di un carcere piano piano inizia a scoprire la parte migliore di se.
C'è Diego sensibile e ottimista, delicato e generoso.
C'è Miki la guardia penitenziaria, "libero" nella vita e prigioniero nell'anima tra una famiglia che forse non voleva, un padre morto troppo presto e un fratello disabile a cui badare.
C'è la bellezza dei giovani volontari che si occupano delle mamme e dei bambini nel penitenziario.
Ci sono Melina, Adamu e Gambu che imparano a fidarsi l'uno dell'altro.
C'è Ginevra, la compagna di classe di Diego di cui lui si innamora e che sembra rappresentare la stratificazione sociale più perbenista.
C'è Greta, la psicologa dell'Icam che ogni giorno fa i conti con la propria maternità mancata.
E ci sono le celle che diventano casa, quasi un luogo di tenerezza.
Ci sono i palazzoni di cemento della periferia napoletana che diventano posti da cui scappare.
Marone riesce a farci guardare il mondo come lo farebbe un bambino.
Ma un bambino diverso, di quelli troppo buoni per nascere in alcuni quartieri.
Di quelli giusti in un mondo sbagliato.
Di quelli dimenticati, di quelli a cui nessuno chiede il parere.
Una storia che riesce a farci arrabbiare, a farci riflettere, a farci piangere.
A darci una nuova ottica delle cose.
Può un carcere diventare casa?
Si, Marone ce lo insegna in modo struggente con una scrittura asciutta, meno fresca dei romanzi precedenti ma ugualmente intensa ed efficace.
Come se anche le parole non potessero piegarsi a certi sentimentalismi.
Chiudi il libro e vuoi bene a Miriam, a Diego, a Miki e capisci un sacco di cose: Le madri non dormono mai è sopratutto un romanzo sociale che racconta gli ultimi.
Ma anche i primi.
Perché Marone ti sbatte in faccia in modo violento che l'unica differenza tra i primi e gli ultimi sono le opportunità.
Quelle opportunità che un Stato illuminato dovrebbe dare a tutti.
Indistintamente.
E specialmente ai bambini.
Il libro
Un bambino, sua madre. Due vite fragili tra altre vite fragili: donne e uomini che passano sulla terra troppo leggeri per lasciare traccia. Intorno, a contenerle, un luogo che non dovrebbe esistere, eppure per qualcuno è perfino meglio di casa. Lorenzo Marone scrive uno struggente romanzo corale, un cantico degli ultimi che si interroga, e ci interroga, su cosa significhi davvero essere liberi o prigionieri.
Diego ha nove anni ed è un animale senza artigli, troppo buono per il quartiere di Napoli in cui è cresciuto. I suoi coetanei lo hanno sempre preso in giro perché ha i piedi piatti, gli occhiali, la pancia. Ma adesso la cosa non ha piú importanza. Sua madre, Miriam, è stata arrestata e mandata assieme a lui in un Icam, un istituto a custodia attenuata per detenute madri. Lí, in modo imprevedibile, il ragazzino acquista sicurezza in sé stesso. Si fa degli amici; trova una sorella nella dolce Melina, che trascorre il tempo riportando su un quaderno le «parole belle»; guardie e volontari gli vogliono bene; migliora addirittura il proprio aspetto. Anche l'indomabile Miriam si accorge con commozione dei cambiamenti del figlio e, trascinata dal suo entusiasmo, si apre a lui e all'umanità sconfitta che la circonda. Diego, però, non ha l'età per rimanere a lungo nell'Icam, deve tornare fuori. E nel quartiere essere piú forte, piú pronto, potrebbe non bastare.
«Miriam tornò ai suoi panni, e tolse l'aria dai polmoni con uno sbuffo. Il sole mattutino s'affaccendava a portare un po' di calore, permetteva ai bambini di restare fuori a giocare, ma proiettava l'ombra delle sbarre sulla parete alla sua destra, sezionava il muro come fosse una scacchiera. S'appese alle spranghe e allungò l'esile collo, come a voler uscire da lí, lei cosí minuta, e si ritrovò sulle punte senza volerlo, da dietro pareva un puma pronto a spiccare il balzo. Pensò di andarsi a riprendere quel figlio cretino che a quasi dieci anni si lasciava sfottere da una mocciosetta e manco lo capiva. Invece vide qualcosa d'inaspettato, vide la bambina ridere ancora per le parole del suo Diego, e però subito dopo vide anche il viso di lui aprirsi in un gioioso sorriso, e poi in una fragorosa risata che liberò farfalle, una risata per lungo tempo attesa, che le tolse l'ombra dalla faccia e la spinse a donare al cielo, alle nuvole dense che soffocavano quel carcere tra i monti, un moto appena percettibile di labbra».
L'autore
Lorenzo Marone nasce a Napoli. Laureato in Giurisprudenza, esercita l'avvocatura per quasi dieci anni, mantenendo parallelamente un'intima attività di scrittore. Un giorno smette di fare l'avvocato, si trova un lavoro come impiegato in un'azienda privata e comincia a spedire i suoi racconti. Suoi sono i libri Daria (La gru, 2012), Novanta. Napoli in 90 storie vere ispirate alla Smorfia (Tullio Pironti, 2013), La tentazione di essere felici (Longanesi, 2015), Magari domani resto (Feltrinelli 2017), Cara Napoli (Feltrinelli 2018), Tutto sarà perfetto (Feltrinelli, 2019) e La donna degli alberi (Feltrinelli, 2020).
Di se stesso scrive: «Amo i cani e tutti gli animali, corro tre volte a settimana, ascolto musica in ogni momento del giorno, soprattutto di gruppi rock italiani semisconosciuti, leggo la sera a letto, in genere testi di autori contemporanei, ho difficoltà a lasciare un romanzo a metà, sono molto freddoloso, adoro il cinema e le persone curiose, mi fanno paura i ragni, e per prendere l’aereo mi devo imbottire di calmanti. Preferisco la birra al vino, il salato al dolce, il cioccolato fondente a quello al latte, e i cattivi rispetto ai finti buoni. Mi piacerebbe saper cucinare, ma sono una frana, come in ogni attività manuale. Però so farmi scrocchiare la schiena con un solo movimento».