Enrica Morlicchio: “Reddito di Cittadinanza, indietro non si torna”
Quanto il Reddito di Cittadinanza ha realmente inciso sulla nostra situazione economica e a chi è servito soprattutto? Lo abbiamo chiesto a una delle maggiori esperte di povertà al Sud, la docente della Federico II Enrica Morlicchio.
Per la sociologa campana è molto chiaro che sul RdC non si può arretrare, avendo già scontato l’Italia un grande gap con gli altri paesi europei. “Il nostro paese è arrivato in ritardo, dopo che faticosamente abbiamo ottenuto questo strumento, per quanto ancora perfettibile, dobbiamo portarlo avanti, invece quello che abbiamo visto è che ha subito violenti attacchi da più parti”.
“Uno dei tanti errori della sinistra – prosegue la professoressa – è quello di non averlo sostenuto e difeso abbastanza, lo stesso Movimento 5 Stelle lo ha difeso solo parzialmente, su questo condivido il pensiero di Chiara Saraceno”.
RdC. Che cos’è e cosa cambia rispetto alle sperimentazioni del passato?
Il RdC per la prima volta in Italia stabilisce il diritto a una misura “universale”, non più categoriale (come avveniva con le sperimentazioni precedenti), di contrasto alla povertà. Ciò significa che tutti i cittadini, a prescindere dal proprio status, se sono in condizioni di disagio oggettivo (quindi accertato) hanno diritto ad un aiuto. Del resto si sta semplicemente applicando il dettato costituzione che, all’articolo 38, recita che chi vive difficoltà economiche va sostenuto con un mantenimento. Questo è talmente vero che in tutta Europa, persino in Spagna e in Grecia, ci si è dotati di una misura simile.
Punti di forza e debolezza.
Pur difendendo a spada tratta il principio universale che sta alla base del RdC, è innegabile ci siano stati dei problemi nella sua applicazione pratica e la misura stessa ha di per sè dei difetti, che possono però essere migliorati. Il principale punto di forza è che dato respiro a molte famiglie in un momento molto difficile. Quello che non si vuole capire è che non sono soldi a perdere: molte famiglie, grazie al RdC, hanno curato per la prima volta i denti dei loro figli, hanno migliorato la dieta dei loro ragazzi. Questo significa risparmio, non costo, in termini di salute pubblica, prevenzione delle patologie, minori costi sanitari e sociali. Insomma, il RdC interessa i poveri ma le sue conseguenze riguardano tutta la società.
Quanto ai difetti ci sono, li ha evidenziati bene la Commissione di esperti presieduta da Chiara Saraceno, qualche mese fa.
Quali sono state le aree di maggiore criticità?
Principalmente hanno a che fare con l’insufficienza di questa misura rispetto alle esigenze delle famiglie più numerose e problematiche, e soprattutto con l’inadeguatezza sul piano dell’avviamento al lavoro. Penso, in particolare, a quelle persone vulnerabili, ad esempio madri di più bambini, perlopiù de-professionalizzate, che magari non hanno mai lavorato in vita loro e che non sono riuscite a trovare una collocazione. Poi bisogna andare a vedere che tipo di proposte concretamente chi è stato raggiunto, e non sempre è avvenuto, ha ricevuto. Molti hanno rifiutato, ma sono stati sempre proposti loro lavori dignitosi o adeguati alla loro situazione socio-culturale? I comuni hanno accettato di accoglierli come lavoratori utili? Anche su questo bisogna ragionare.
Lei crede che, come si è detto, dopo le elezioni, i percettori del Reddito siano stati gli elettori del Movimento 5 Stelle o bisognerebbe andare oltre nella lettura di questo dato?
Ovviamente questa è una spiegazione molto semplicistica, occorrerebbe andare ad intervistare gli elettori dei 5 Stelle: il voto è stato certamente in parte orientato dalla difesa del RdC, ma lo stesso Movimento ha difeso in maniera parziale questo provvedimento, né ha preso in considerazione le molte proposte avanzate dalla Commissione di esperti promossa da Orlando.
Lei crede che il Governo Meloni cancellerà davvero il RdC?
Non lo credo, non solo perché Giorgia Meloni è una politica molto astuta, ma soprattutto perché l’Italia non può mettere più in discussione una misura di cui si è dotata tutta Europa in maniera definitiva e strutturale, è allucinante pensare che si possa fare un passo indietro su questo.
Quanto crede che la pandemia abbia contribuito all’impoverimento generale e quali sono state le fasce più penalizzate?
La pandemia ha certamente accresciuto la povertà ma non dobbiamo commettere l’errore di pensare che tutto dipenda da questo. Erano più di 10 anni che le famiglie con minori erano le categorie più penalizzate; diversamente gli anziani sono stati un po’ protetti dalla garanzia delle pensioni. L’incidenza dei bambini che vivono deprivazioni (ad esempio non seguono una dieta adeguata, non vanno in vacanza, la famiglia non è in regola con i pagamenti delle bollette, ecc), già nel 2012 era raddoppiata rispetto a 4 anni prima.
La povertà delle famiglie, numerose e con bambini piccoli, è stata esacerbata dalla pandemia e ora lo sarà ancora di più per la crisi energetica e i conseguenti rincari: la novità è che questa condizione si estende sempre più ai ceti medi, ma sarebbe sbagliato attribuire le cause di un problema, molto più strutturale, ad eventi congiunturali.
Allora quale è la vera causa della povertà?
L’origine del problema è lo squilibro tra le entrate da lavoro e i bisogni familiari. Le famiglie, soprattutto al Sud, hanno una “bassa intensità di lavoro”, vale a dire che sono formate da adulti che potrebbero lavorare ma che non lo fanno (donne non istruite, deprofessionalizzate, che non hanno molte alternative, giusto per fare un esempio). Tra le ragioni di questo fenomeno vi è una domanda di lavoro che si stagna, la mancanza di politiche economiche, industriali, per la famiglia e per il Mezzogiorno, dove ci concentra maggiormente la povertà. Oggi si parla tanto di istituire un Ministero per la natalità, ma se esistessero davvero politiche attive su questi fronti, non ce ne sarebbe bisogno. Non si fanno figli perché non si ha la possibilità economica, un tempo le famiglie povere erano le più numerose, oggi è il contrario, sono quelli più ricchi a fare più figli.
Che rischi ci sono che questi “nuovi poveri” finiscano nelle mani di usurai senza scrupoli?
È molto probabile che già stia accadendo, nel Mezzogiorno questo è un problema concreto, significa alimentare i rapporti con la camorra, dare spazio al suo “welfare” e una volta che si creano queste catene di dipendenza si entra in una spirale; le basi della convivenza civile vengono messe sotto attacco.