Ghosting sparire nell’era del virtuale
Nell’era del virtuale non si parla, non si spiega, non si chiude attraverso il dialogo una relazione.
Si sparisce.
Identità liquide, frammentate, fluide, ci rapportiamo agli altri attraverso la rete, questa rete che cattura, avviluppa, che genera un continuo bla bla sotterraneo e seducente, questa rete che confonde, fraintende e genera illusioni.
E nel silenzio come fantasmi inconsistenti scompariamo senza lasciare tracce, lasciando sospese le cose, ai limiti tra reale e immaginario fino a chiederci se davvero è accaduta la relazione o se siamo semplicemente stati prigionieri di un sogno.
Nel buddismo si dice che ogni cosa è illusione e che tutto è generato dalla nostra mente, che attraverso desideri, proiezioni e paure crea la propria realtà. Il mondo così com’è noi non lo vediamo e probabilmente se riuscissimo a vederlo somiglierebbe a un’enorme tela vuota come accade in Matrix quando a Neo vengono staccati i fili che lo connettono alla Matrice e si trova con Morpheus davanti a un’enorme stanza dalle pareti bianche, completamente vuota.
Oggi nell’era del virtuale è ancora più accentuato il mondo illusorio, da una parte possiamo vedere in modo chiarissimo come funziona la nostra mente e come siamo interconnessi gli uni agli altri, dall’altra parte nel momento in cui perdiamo il contatto con noi stessi, con la nostra natura essenziale e con il nostro qui ed ora, finiamo completamente catturati in una specie di maglia fantasmatica, cangiante e continuamente in movimento, e senza protezione veniamo inghiottiti dai fantasmi delle nostre paure e delle nostre ferite che si riflettono senza pace dinanzi allo schermo vuoto.
Ghosting cioè sparizione è una chiave di accensione. L’interlocutore di una relazione sparisce nel vuoto e si fa fantasma e noi veniamo catturati dai nostri fantasmi interiori.
Violenza? Certamente.
Ma anche una potente occasione per guardarci dentro e comprendere cosa accade all’interno di noi.
Mi viene in mente uno dei tanti esercizi creativi per dare vita a un racconto, attivare il pensiero laterale e accendere la chiave della narrazione.
Cosa accade se per esempio ci troviamo d’un tratto davanti a un foglio bianco?
Cosa vediamo? Quali immagini ci vengono incontro?
E cosa accade se un partner d’un tratto sparisce? E non si fa più sentire attraverso messaggi, social, e magari blocca o cancella?
Sottraendosi alla relazione lascia lo spazio vuoto. Vuoto di sé, vuoto dell’altro, vuoto del rapporto.
Stacca i fili e noi restiamo soli con noi stessi. Faccia a faccia con le nostre proiezioni, le nostre paure, le nostre ferite… Ma anche con il nostro potenziale creativo.
Perché si comporta così? Cosa gli ho fatto? Cosa pensa? Cosa è accaduto? Tornerà? Mi ha abbandonato?
L’altro con la sua assenza si prende uno spazio infinito… Lo spazio del vuoto nero e mancante ma anche lo spazio delle potenzialità infinite.
Ma non è più l’altro che si prende spazio.
È la nostra narrazione dell’altro.
Ed è da qui che si può partire per non finire inghiottiti dal buco nero del virtuale fantasmatico che avviluppa senza scampo.
Dietro lo schermo, dietro l’assenza, ci sono io che narro, che scrivo la mia trama…
Posso ritornare a me. E vivere il vuoto come lo spazio di un foglio bianco dove scrivo quello che voglio perché sono io che scrivo, che narro, che racconto la storia.
Attraverso le ferite fantasmatiche, come in un novello viaggio di Persefone nelle ombre, il vuoto si manifesta per ciò che è, chiaro e trasparente.
E uno spazio vuoto non è solo abbandono, mancanza o senso di colpa.
Scelgo io cosa vedere tra le mille possibilità di uno spazio completamente bianco.
Qualcuno sparisce, non dà più segni di sé? Blocca?
Medea, questa donna immensa della tragedia, molto oltre, al di là del bene e del male, a chi le chiede cosa le resta dopo che ha ucciso i figli, risponde, stagliandosi sul vuoto…
“Resto Io”!