Non solo Enea: quando la ruota degli esposti è una culla per la vita
Un tempo si chiamavano “Ruote degli esposti” e si trovavano presso chiese e conventi, oggi sono le “culle della vita”: spazi sicuri e attrezzati dove le madri in difficoltà possono lasciare il neonato affinché persone esperte possano prendersene cura.
Perciò, al di là delle polemiche scatenate da media e social, si potrebbe guardare al gesto della mamma del piccolo Enea anche come un atto d’amore.
La donna, lo ricordiamo, ha scelto di lasciare il piccolo nella culla per la vita del Policlinico di Milano la domenica di Pasqua, pochi giorni dopo averlo partorito. Sappiamo che si chiama Enea da una lettera lasciata dalla stessa mamma.
Il piccolo ora è accudito dagli specialisti della Neonatologia alla clinica Mangiagalli del Policlinico ma il gesto (non certo il primo del genere) ha suscitato grande scalpore anche perché il conduttore di Striscia la Notizia, Ezio Greggio, aveva lanciato un appello alla mamma del bimbo, dicendo: “Enea merita una madre vera”.
Ma andando oltre il pressing mediatico e il facile moralismo, forse occorre ricordare che lasciare il proprio figlio nella culla della vita non significa abbandonarlo.
Significa piuttosto garantire una possibilità di sopravvivenza al neonato.
La culla per la vita è una struttura concepita proprio per permettere di affidare in mani sicure e totalmente protetti, i neonati da parte delle mamme in difficoltà nel pieno rispetto della salute del bambino e della privacy di chi lo deposita.
In luogo facilmente raggiungibile, la culla garantisce l’anonimato della mamma che vuole lasciare il bambino ed è dotata di una serie di dispositivi (riscaldamento, chiusura in sicurezza della botola, presidio di controllo h 24 e rete con il servizio di soccorso medico) che permettono un facile utilizzo e un pronto intervento per la salvaguardia del bambino.
Quindi a una donna che sceglie di affidare il proprio figlio a chi è in grado di occuparsene più di lei, si dovrebbe garantire la privacy.
Un anonimato che serve a tutelare anche il bimbo: Enea purtroppo in futuro potrebbe sapere della sua storia attraverso una banalissima ricerca su Google.
In Campania esistono due culle per la vita.
A Napoli presso il Policlinico Federico II (al secondo ingresso, in Via Tommaso De Amicis 15): è a cura della Fondazione Francesca Rava e delle associazioni Ninna ho e Kpmg.
A Salerno se ne occupa Inner Wheel Salerno est e la culla si trova presso l’Ospedale Ruggi in Via San Leonardo 1.
Si chiama poi SOS Vita il numero verde dedicato adonne e coppie che si trovano ad affrontare una gravidanza difficile, inattesa, indesiderata o rifiutata.
Possono telefonare all’800 813 000 e in tempi brevissimi risponderà un operatore opportunamente formato che - garantendo l’anonimato – darà un sostegno concreto a chiunque si trovi in difficoltà.
Soluzioni all’emergenza abitativa, consulente psicologiche, mediche e legali sono solo alcune delle azioni di supporto che i volontari di SOS Vita svolgono da oltre 30 anni.
La storia della culla della vita
Si tratta della versione più moderna della Ruota degli Esposti: un semplice cilindro di legno, posto verticalmente nel vano di una finestra posta sul fronte strada di un edificio, che ruotava su un perno. La persona addetta all’accettazione, avvisata dal suono di un campanello, faceva girare l’apertura e accoglieva il neonato.
Questo sistema nei secoli ha salvato migliaia di bambini.
In particolare, Esposito fu il cognome che per consuetudine in Campania venne a lungo dato ai bambini rinvenuti in questa speciale culla che si trovava presso l’Ospedale dell’Annunziata nel centro storico di Napoliin funzione fino al 1875 (anche se neonati hanno continuato ad essere abbandonati sul sagrato o sui gradini della basilica fino a pochi anni fa).
Il parto in anonimato e il diritto all’informazione delle mamme
In Italia esistono numerose leggi che tutelano la madre e il neonato, persone con diritti propri.
Partorendo in ospedale in modo anonimo, sicuro e gratuitamente assistito, ogni donna ha il diritto di esprimere la sua volontà di non riconoscere il neonato alla nascita ed ha diritto alla riservatezza sulla propria identità.
Nei servizi sociali e negli ospedali, tutto il personale ha l’obbligo di osservare la massima riservatezza rispetto alla madre che “non consente di essere nominata” e di mantenere il segreto all’esterno su tutto ciò che la riguarda.
Il nome della madre e le notizie su di lei sono tutelate per legge dal segreto.
È necessario poi ribadire il diritto all’informazione: ogni donna può ottenere assistenza psicologica e sanitaria prima del parto, durante il parto e dopo il parto, unitamente ad ogni genere di informazione che possa prospettare soluzioni attuabili sia nel senso del riconoscimento (forme di sostegno alla maternità ed alla genitorialità, aiuti di tipo socio-assistenziale e sanitario) che del non riconoscimento (diritto a partorire nel più assoluto anonimato e di non riconoscere il nascituro); ha inoltre diritto ad essere informata, in caso di incertezza sulla scelta da operare, sulla possibilità di usufruire di un ulteriore periodo di riflessione dopo il parto (della durata non superiore a due mesi), richiedendo al Tribunale per i minorenni la sospensione della procedura di adottabilità