In un Sud che Confcommercio fotografa fermo e con meno occupati di 30 anni fa, con un divario rispetto al nord che cresce, nella metropoli che il rapporto sulle dichiarazioni dei redditi pubblicato dal ministero dell’Economia e Finanza attesta come la più povera d’Italia, qualsiasi discorso che si distacchi dall’apologia trionfalistica del boom turistico a Napoli è bollato come impopolare e velleitario.
Editoriale
La Campania fa parte delle 50 regioni europee più povere. Naturalmente, in buona compagnia di altre regioni meridionali come Puglia, Calabria e Sicilia, come è tipico di questo tipo di classifiche. Oltre venti anni di fondi europei per la coesione non solo non ci hanno permesso di recuperare posizioni, ma ne abbiamo perse 36 perché allora eravamo al 165esimo posto.
Nella città metropolitana di Napoli si è votato in tre importanti comuni: Cercola, Marano e Torre del Greco. Si può ragionevolmente dire che in tutti e tre vince l’astensionismo, senza nulla togliere ai sindaci eletti ai quali va il mio augurio.
Fa ovviamente piacere, ma una certa impressione, trovare Napoli al primo posto delle grandi città italiane nella classifica dell’Indice di vivibilità climatica. Prima fra le grandi città e 17esima fra i capoluoghi italiani. Almeno nel 2022 c’era chi stava peggio, in un paese che comunque non brilla per cura del territorio e nel quale si moltiplicano ovunque i fenomeni climatici estremi, fino alle conseguenze tragiche dell’alluvione di Casamicciola a Ischia o di quella recente in Romagna.
Inevitabilmente carnefici, se sotto i loro colpi rischiano di morire innocenti e inconsapevoli una bambina di 10 anni e i suoi genitori a Sant’Anastasia. Inevitabilmente, perché lo scenario è quello di sempre. Uno scenario a cui ci siamo tristemente abituati e che ogni volta corrisponde alla lettera. Un’istantanea ad alta definizione sempre uguale a sé stessa, piuttosto che un generico identikit.